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La trilogia di Bruno de Filippis

Toba. La prima sconfitta della morte

TOBA

La prima sconfitta della morte

 

se la gioventù sapesse

se la vecchiaia potesse

 

Toba, 75mila anni fa

L’eruzione di un super vulcano provocò la scomparsa di molte specie viventi.

La popolazione umana si ridusse, secondo alcune stime, a poche migliaia di individui, forse a mille. Molte piante seccarono e si svilupparono estesi incendi. Le ceneri uscite dal vulcano oscurarono la luce solare, che di giorno diminuì fino al 90%. Il cielo divenne grigio e, durante la notte, rosso. La temperatura media del pianeta scese di 5 gradi e, nelle zone più vicine al vulcano, di 15.

Gli uomini erano già identici a noi, con il nostro fisico, i sentimenti e la capacità di soffrire che noi abbiamo, ma le condizioni di vita erano molto diverse..

 

 

La notte è scura, priva di ogni luce. Sento il respiro affannoso della mia compagna, che proprio ora sta facendo nascere i nostri cuccioli. La mia compagna si chiama Luna. È forte, molto forte. Non si arrende mai, non si scoraggia, vuole sempre andare avanti. Ed è bella, molto bella, ha il sapore delle piante ed i colori del cielo. I suoi occhi hanno i bagliori dell’acqua quando, al mattino, il sole la bacia.

Le tengo la mano, non so fare altro. Dovevano esserci altre donne ora, ma la mia tribù è dispersa, da quando il sole è scomparso ed il cielo si è riempito di fango. Forse sono morti tutti.

Camminiamo da giorni nella savana, per andare verso le terre calde, ma tutto intorno è sempre più freddo.

Una tigre ci ha assalito, abbiamo trovato questo passaggio tra le rocce, troppo piccolo perché potesse entrare.

Ora la caverna si sta riempiendo del primo pianto dei cuccioli.

Anche se non li vedo, sento i denti a sciabola della tigre che fremono per penetrare e gli sforzi che fa per allargare il passaggio. Avverte l’odore nostro e dei cuccioli ed impazzisce per il desiderio di averci.

Rivoli di sudore freddo mi scendono sul viso, ma ho fiducia che ce la faremo. Ripeto a me stesso che ce la facciamo sempre, che sopravviviamo, ma non ci siamo mai trovati in una situazione così brutta. C’è sempre stata la tribù intorno a noi e qualcuno ha sempre trovato una via d’uscita. Ora tocca a me. Sono spaventosamente solo.

Stringo tra le dita la pietra gialla che il dio della montagna ci ha dato e che Luna ed io abbiamo baciato insieme, quando ci siamo uniti. La pietra gialla mi aiuterà. Ha un potere immenso, il potere del nostro amore benedetto dal dio.

Rivolgo la pietra verso la tigre, di cui ora sento il fiato ed il calore. Nel buio vedo i suoi occhi. Non so se lei vede i miei. Credo di sì, perché mi fissa. Mi odia e vuole uccidermi, ma io ho la pietra gialla.

Guardo in direzione di Luna. Non la scorgo, ma è come se la vedessi. Non mi sono mai sentito tanto unito a lei come ora. È un prolungamento di me ed io di lei. È il mio amore, il mio tutto.

 

Claudio aprì gli occhi ed uscì dal sogno. Non aveva mai sognato in modo così vivido e particolareggiato. I suoi viaggi nelle dimensioni dello spazio e del tempo gli avevano dato facoltà straordinarie, come quella di comunicare con Davin (da Terra 1 a Terra 5) ed ora gli regalavano questi sogni. Ma non poteva trattarsi soltanto di illusioni create dal suo inconscio.

-                 Io, io sono o sono stato Abel! (Come potevo sapere il suo nome se nel sogno non l’aveva neppure pronunciato?) Amo Luna con tutto me stesso. –

Tastai il letto, convinto di trovare la soffice carne dei neonati (ma quanti erano?). Trovai invece la schiena di Carla, distesa accanto a me, ricevendo in risposta un lieve mugolio. Mi accorsi di tremare e di essere sudato. Ciò nonostante mi riaddormentai ed il sogno, come un film dopo uno stacco pubblicitario, ricominciò.

 

Era giorno, adesso, ma un giorno quasi privo di luce. Il sole era pallidissimo. I suoi raggi non riuscivano a passare attraverso fitti strati di polvere, che incombevano come nuvole ostili.

Un po’, tuttavia, si riusciva a vedere e Abel guardò Luna che dormiva spossata. I cuccioli erano tre, due maschi ed una femmina e dormivano anch’essi, morbidi e raggomitolati sul corpo della madre. Abel (o Claudio?) pensò che nessun dipinto avrebbe mai potuto esprimere così meravigliosamente l’idea della maternità e fu travolto da un’ondata di tenerezza. Ma il sentimento che prevaleva in lui era la paura. Paura di perderli, di non riuscire a difenderli, di non fare la cosa giusta. La paura lo attraversava da capo a piedi, come una ritmica scossa elettrica.

-                 La paura non mi bloccherà, ma mi darà forza. La tigre non andrà via. Sarà capace di aspettarci anche per settimane. Dobbiamo trovare cibo, qui dentro non abbiamo niente. –

Abel esplorò la caverna. Forse poteva esserci il nido di qualche animale oppure qualche radice buona da mangiare, ma la sua esplorazione non ebbe esito. Uno dei cuccioli si svegliò e cominciò a piangere. Il suo pianto era identico a quello dei neonati di oggi. Per questo aspetto, in 77 mila anni nulla è cambiato.

 

Claudio (di nuovo sveglio): - Devo procurare il cibo. Devo assolutamente procurare il cibo.

Carla (con voce assonnata): - Cosa dici? Abbiamo ordinato ieri. Il frigorifero trabocca.-

Mi rigirai nel letto, ma questa volta non riuscii a riprendere sonno. L’inconscio è strano, se non dispettoso. Più volevo dormire, per scoprire se Abel ed i piccoli si fossero salvati, più i miei occhi si spalancavano e la possibilità di dormire svaniva.

La prospettiva di dover aspettare la notte successiva per saperlo mi appariva insopportabile ed ancora di più lo era la possibilità di non saperlo affatto. Mi sentivo colpevole di averli abbandonati lì, senza cibo (mentre io ne avevo d’avanzo) e di non averli protetti dalla tigre.

Straordinaria mi appariva la mia identificazione con Abel. Pensai alla metempsicosi, ma qui si trattava di qualcosa di più vivido, come di eventi che avvenissero in contemporanea, come se io fossi qui e lì nello stesso momento.

Mi alzai e, con una gruccia per abiti, che chissà come era finita a terra, menai due fendenti immaginari alla tigre. Carla, pur abituata alle mie stranezze, mi mandò a quel paese e ficcò la testa sotto il cuscino.

Più tardi, dinanzi ad una buona tazza di the, cercai di mettere ordine nei miei pensieri.

Dunque – dissi a me stesso – il mondo non è come lo vediamo. È molto più vasto e complicato -.

Per qualche incomprensibile ragione, la ferrea morsa dello spazio-tempo si era allentata per me, dandomi la possibilità di andare una prima volta su Terra 2 [1] ed una seconda di tornarvi e visitare Terra 3 [2], comprendendo che vi sono molte altre dimensioni e che in qualche modo esse sono distinte ed in qualche altro unite, come in un gioco di luci e di specchi.

Dai miei viaggi avevo ricevuto fama e gloria, avevo stretto amicizie che mi stavano molto a cuore ed avevo, per ultimo, ricevuto la possibilità di comunicare con Davin, che avevo aiutato a fuggire da Terra 2 ed approdare su Terra 5 [3].

Un fenomeno analogo era avvenuto anche a Carla, quando era entrata in comunicazione con Cristina di Terra 2.

Forse ciò era legato a correnti di amicizia e simpatia, le quali, comportando identificazione con l’altro, annullavano le distanze e facevano sfumare barriere tanto insormontabili quanto finte. Oppure si trattava di qualcosa di più, che non capivo.

Da Platone a Cartesio, fino al “cervello nella vasca” di Putman, l’uomo si è chiesto quanto la realtà sia reale e quanto invece sia un’interpretazione soggettiva di fenomeni per noi incomprensibili.

Da parte mia, sin dal momento in cui avevo imboccato il tunnel dimensionale che mi aveva portato a Cheronea, avevo smesso di pormi domande, accettando la realtà per quello che proponeva e lasciando le risposte al momento in cui (tra un anno, mille o forse un milione) tutti gli elementi del quadro fossero divenuti visibili.

Per quanto riguardava il rapporto con Davin, notavo che la nostra comunicazione (che non era direttamente controllata, né da me, né da lui), diventava più frequente e concreta, quanto più aumentava l’empatia tra di noi.

Sapevo che anche quel giorno si sarebbe verificata e l’aspettavo, pronto a trascrivere tutto nel mio block notes.

La mattina, anche ora che ero ricco come il signor Bonaventura, che chissà se qualcuno ricorda [4], il mio compito principale era preparare la colazione, cosa che facevo con impegno e, vorrei dire, con arte.

The per me, con biscotti di vario tipo, rigorosamente esclusi quelli al cioccolato. Caffè forte per Carla, comprensivo del servizio in camera, anzi a letto. Spesso aggiungevo una fetta biscottata con un sottile strato di miele. Un breve spazio di coccole era previsto quando entrambi eravamo di buon umore e nessuno dei due aveva impegni di prima mattina. La prima condizione, ultimamente e grazie al Cielo, si verificava abbastanza di frequente, la seconda era più rara.

Per le bambine, latte e cioccolato (nelle tazze dei personaggi Disney, in genere principesse dai lunghi capelli), con barchette, fiocchi o quant’altro gradito al momento.

Mentre spalmavo il miele, guardando le principesse delle tazze, apparve una delle principesse vere, la piccola Cécile, che ora aveva sei anni e sembrava una graziosa miniatura della madre, la quale evidentemente, invece di generare due figlie, doveva essersi due volte clonata.

Qualche volta mi chiedevo se le avesse fatte da sola, prendendo proprio il minimo indispensabile dall’allora marito Fabio o gli avesse generosamente lasciato qualche spazio nella trasmissione genetica di caratteri secondari.

Cécile, oltre ad essere bruna, con una deliziosa boccuccia a cuore ed un nasino piccolo ma ricco di personalità, in quel momento era imbronciata. Sapevo il perché: non voleva, in una recita scolastica, fare la parte della pastorella. Sapevo anche che convincerla o almeno concordare una tregua sarebbe stata dura.

 

1.       Quando tutto sembra tranquillo è il momento di preoccuparsi.

Quella mattina, essendo lunedì, il super computer che avevo fatto installare nel laboratorio da me diretto, doveva darci la stringa con le previsioni dei movimenti tellurici previsti per la settimana e, con dati che sarebbero stati confermati la settimana dopo, per i quindici giorni successivi.

I cameraman erano già nel mio studio e stavano montando quanto necessario per le riprese, che mi avevano dato notorietà quasi più che non la scoperta in sé (che era stata “quasi” tutta opera mia) di come e quando sarebbero avvenuti, su scala mondiale, i terremoti.

La trasmissione era popolare come e più delle previsioni del tempo ed era tradotta e replicata in almeno trenta lingue. Io apparivo ogni lunedì, curando il mio look, consapevole del fatto che i telespettatori potevano anche distrarsi e non seguire quanto avrei detto, ma sarebbero stati molto attenti e mi avrebbero giudicato per il mio aspetto. Quel giorno indossavo una camicia a righe sottili ed avevo avuto l’ardire di abbinarle, dopo lunga consultazione con Carla, una cravatta a righe larghe, invece che a tinta unita.

Sfogliai le stringhe appena uscite dalla stampante, che nella mia testa paragonavo a pagnottelle calde, preparandomi a fornire le notizie che tutti aspettavano, condite ed infiocchettate con le informazioni scientifiche ed il tono brillante in cui ero maestro.

Mi bloccai sull’ultimo foglio, che il computer aveva diligentemente evidenziato, senza tuttavia rinunciare a darmi tutti gli altri (un umano mi avrebbe, trafelato, portato subito e solo quello): un terremoto catastrofico era previsto per l’ultimo giorno della terza settimana di previsioni, quindi per 21 giorni a partire da quel momento, nella parte settentrionale dell’isola di Sumatra, in Indonesia.

Rimasi paralizzato. Il terremoto sarebbe avvenuto più o meno nel punto in cui si trovava il lago di Toba, oggetto del mio strano e vividissimo sogno.

Interrogai freneticamente il computer per sapere cosa sarebbe successo dopo e la macchina, dopo avermi detto più volte che i dati erano insufficienti e che non voleva fare previsioni sotto la soglia di probabilità del 33%, a malincuore ed a seguito di ordini perentori disse che vi sarebbero stati, nello stesso posto, altri terremoti e che essi, forse, preludevano ad un’eruzione vulcanica di immani dimensioni.

Il disastro di Toba stava dunque, dopo 75 mila anni, per ripetersi?

L’eruzione di allora aveva raggiunto il livello 8 nella scala VEI (Volcanic Explosivity Index), espellendo migliaia di metri cubi di magma e seppellendo sotto metri di cenere un’area grande quanto un continente. Nella storia vulcanica, era stata superata soltanto da un’eruzione avvenuta 30 milioni di anni fa, capace di espellere, in una settimana, più di 5500 chilometri cubi di materiale. La ripetizione di un evento del genere equivarrebbe, per noi, all’apocalisse.

Pensai contemporaneamente a tutte le cose da fare, cercando di stabilire le priorità: 1) controllare i calcoli (prima di dare qualsiasi allarme), 2) avvisare le autorità, 3) salvare Carla e le bambine. Rapidamente invertii l’ordine degli ultimi due numeri.

Dopo avere, con gran dispiegamento di sorrisi e senza far trapelare niente, registrato la trasmissione, mi precipitai a rifare i calcoli.

Il computer aveva ragione, le probabilità che il terremoto di Toba fosse il preludio di una nuova eruzione del super vulcano erano, al momento, basse. Ciò che le accresceva era il sogno, viste le facoltà profetiche e gli incredibili collegamenti spazio temporali che le mie precedenti avventure mi avevano regalato.

Il terremoto comunque sarebbe avvenuto e dovevo, avviando i consueti canali, avvertire subito, almeno per questo, le autorità.

Per quanto riguardava la nostra salvezza, pensai di agire in due modi: acquistare, prima che la notizia si diffondesse, un rifugio antiatomico riempiendolo di provviste (il frigorifero di Carla non sarebbe bastato); calcolare dove e se potessero aprirsi, al momento del sisma, canali dimensionali e fuggire altrove, magari in Terra 5, come Davin e Taila. Ovviamente avrei fatto di tutto per salvare l’intera umanità, ma nessuno che sia consapevole dei sentimenti umani può criticarmi per il fatto che volessi dare a Carla, Giada e Cécile una chance in più.

 

 

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[1] Vedi Cheronea, ed. Lastarìa 2018.


[2] Vedi Anchorage, ………………..


[3] Vedi Anchorage, ………………..


[4] Il riferimento è ad un personaggio del Corriere dei Piccoli, nato nel 1917 e pubblicato fino al 1978.




Bruno de Filippis

Bruno de Filippis, magistrato dal 1978, autore di numerosissime opere giuridiche, pubblicate dalle maggiori case editrici nazionali, direttore e curatore di collane, più volte ascoltato come esperto di diritto di famiglia dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, ha collaborato alla stesura di leggi, tra cui la 54/2006, in tema di affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio. Ha presieduto o ha partecipato come relatore ad innumerevoli convegni in svariate località italiane. Ha diretto l’attività di commissioni di studio per la riforma del diritto di famiglia. Ha elaborato progetti di riforma per il riconoscimento dei diritti delle coppie non matrimoniali e delle coppie composte da persone dello stesso sesso, dei minorenni adottati nelle forme dell’adozione in casi particolari, dei nati da madri che non intendono essere nominate e delle persone che ricorrono alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.