
La trilogia di Bruno de Filippis
Nel 1907 il chimico belga Leo Baekeland ottenne, per condensazione tra fenolo e formaldeide, la prima resina termoindurente di origine sintetica. Era iniziata l’era della plastica.
Molti anni dopo, vi fu una nuova scoperta, ancora più straordinaria, destinata ad avere conseguenze incredibili sulla vita e sulla storia dell’uomo.
Tutto cominciò da quella mano. Riccardo (questo il suo nome di battaglia) ricordava il clamore suscitato dalla notizia. Nell’ambito delle ricerche volte a sostituire artificialmente gli arti umani perduti o gravemente danneggiati, per venire in aiuto di tante vittime di incidenti stradali o sul lavoro, una equipe di scienziati, forse geniali o forse fortunati (è lunga la lista delle scoperte avvenute per caso), aveva creato un nuovo materiale, che fu chiamato Ambrosia.
L’Ambrosia era morbida, calda e, prima della sua applicazione, modellabile. Tramite un semplice procedimento medico, poteva sostituire carne e pelle umana, adattandosi al corpo e divenendone, senza problemi, la continuazione. Il cervello la riconosceva e le dava senza difficoltà articolati comandi, ricevendone in cambio impulsi del tutto equivalenti alle sensazioni tattili. Tutto perfetto ed efficiente, senza che, nella nuova mano, scorresse sangue, senza che su di essa potesse depositarsi sudore.
Riccardo ricordava un vecchio film, nel quale un uomo, ogni sera, pregava perché gli venisse ricostruita la mano che aveva perduto, dichiarandosi disposto ad attendere che arrivasse il suo turno per il miracolo. Il miracolo era infine avvenuto, ma, come in tante altre situazioni, non l’aveva compiuto la religione, ma la scienza.
Dalle mani di ambrosia agli altri arti, da questi alla sostituzione degli organi interni, era stata tutta una successione clamorosa di nuove scoperte, titoloni sui giornali e premi Nobel, fino ad arrivare alla sostituzione dell’intero corpo umano e alla nascita dell’uomo di ambrosia. Dopo l’homo erectus, il sapiens, il sapiens sapiens, era infine nata una nuova specie, la prima creata artificialmente e non frutto di una naturale evoluzione darwiniana.
L’uomo di Ambrosia non si nutriva di cibo, ma di energia. Si feriva difficilmente, e ove ciò avvenisse, si rigenerava automaticamente. Non sanguinava, non produceva escrementi, era immune da molte malattie e dal cancro, non marciva dopo la fine della vita, era sempre pulito e perfetto come un’immagine pubblicitaria.
Riccardo guardò le sue umanissime mani, con le vene sempre più in evidenza, man mano che l’età avanzava. Sembravano grossi fiumi sotterranei, pronti a scoppiare. La pelle, invece, era diventata più sottile e le dita riuscivano a staccare le estremità di una busta di plastica, solo se inumidite con un po' di saliva.
Nominando la saliva, pensò al senso di disgusto che i “non più umani”, come lui li chiamava, provavano nei confronti di tutto ciò che poteva venir fuori da un corpo e, per traslato, al disgusto che essi provavano nei confronti del “vecchio uomo” e, quindi, di lui stesso e di quelli come lui.
I non umani erano ormai la maggioranza, ma non perseguitavano gli umani, né le numerose figure intermedie in circolazione (esseri con parti e organi di ambrosia e parti ancora di carne e ossa), si limitavano a guardarli con commiserazione, se non malcelato raccapriccio, come gli umani potevano guardare un insetto che passeggiasse a pochi centimetri dal loro piatto.
I non umani disprezzavano, ma non perseguitavano gli umani, sicuri del fatto che il tempo giocasse in loro favore e che, alla fine, tutti si sarebbero convinti a trasformarsi in uomini d’ambrosia, perché i vantaggi della trasformazione erano troppo grandi perché qualcuno vi rinunciasse. Certo, avevano altri problemi, ma non comparabili rispetto a quelli che poteva provocare la carne.
La società degli uomini di ambrosia rispettava la natura e gli animali (non avevano bisogno di ucciderli per mangiarli, né di inquinare il pianeta per allevarli).
Sarebbe stato meglio, pensò Riccardo, se i non umani avessero combattuto gli umani, se avessero manifestato rabbia e odio nei loro confronti. Sembrava che questo tipo di sentimenti fosse loro estraneo e fosse invece legato alla carne e al sangue di cui si erano liberati. Se avessero dato la caccia agli umani avrebbero riconosciuto la loro dignità, il loro diritto di essere considerati avversari pericolosi e, in qualche modo alla pari. Invece li consideravano inferiori, un curioso e noioso relitto del passato.
Per questo, l’unica possibilità era la lotta armata.
Riccardo era un po' avanti negli anni, ma Ada e Valentina (altri nomi di battaglia), specialmente quest’ultima, erano giovani. Era importante e incredibile che vi fossero giovani capaci di resistere alle suggestioni della trasformazione. Era incredibile perché non erano aiutati dalla nostalgia e dai ricordi.
Da quando erano passati alla clandestinità, Ada era diventata la sua amante. Il loro amore era tenero e appassionato, così come era lo era Ada, ed era costantemente vissuto nella meravigliosa consapevolezza che tutto poteva improvvisamente finire. L’amore costituiva per loro una riserva inesauribile di forza e motivazioni, dando ogni giorno coraggio e voglia di vivere, come avviene da che mondo è mondo.
Riccardo era nato sessantuno anni prima e aveva vissuto, con buona dose di filosofia e tranquillità, fino ad allora, le vicende della vita. Ottimi studi, laurea, master, specializzazione negli States, era stato assunto da un’importante azienda italiana che si occupava di aeronautica e progetti spaziali. Ai successi professionali non si erano accompagnati successi o quanto meno scelte giuste, nella vita privata. Aveva sposato giovanissimo una donna che aveva qualche anno più di lui e che, approfittando del suo carattere mite, aveva preso a tiranneggiarlo. Aveva avuto un figlio che, dopo il divorzio, aveva preso a odiarlo e al quale solo negli ultimi anni si era un po' riavvicinato. Aveva a lungo frequentato chiese e comunità cattoliche, rimanendo progressivamente deluso dall’ipocrisia che in esse albergava e dall’irrazionalità di alcuni precetti che proponevano. Si poteva dire che, a livello personale, avesse raggiunto la convinzione dell’inconciliabilità tra fede e ragione e non riuscisse più a chiudere gli occhi della mente, per lasciarsi incondizionatamente guidare dalla prima.
Di fronte alle nuove scoperte, in principio, come scienziato, aveva manifestato interesse e favore, ma poi, quando era divenuto chiaro, almeno per lui, che esse stavano portando alla scomparsa dell’uomo quale noi lo conosciamo, aveva avvertito ostilità, aveva detto, dentro di sé un grande No, convinto tuttavia che se vi fosse stata una guerra, non sarebbe spettato a lui combatterla, ma ai giovani, destinati a essere parte di una società completamente diversa, che, per ragioni anagrafiche, non lo riguardava.
Pensava infatti di avere già dato e avuto tutto ciò che la vita potesse dare e pretendere e che ormai, per lui, non vi fosse che un lento e sperabilmente dolce declino.
Poi era arrivata Ada, con i suoi occhi verdi, la bocca a forma di cuore, il sorriso sincero e quell’aria, tutta sua, di scolaretta che avesse appena fatto un’imperdonabile marachella, ma già sapesse che sarebbe stata perdonata. Appena l’aveva vista aveva riprovato sensazioni che credeva di aver dimenticato e inutilmente aveva detto a sé stesso di non essere ridicolo, pensando all’amore. Ma l’amore non ha età e Riccardo l’avrebbe capito ben presto, passando notti a sognarla e giorni a cercare pretesti per rivederla.
Il sentimento, sia pure non immediatamente manifesto, era stato reciproco, ma circondato da inspiegabile timidezza. Invece di darsi semplici appuntamenti, cercavano occasioni di gruppo per vedersi, all’interno di comunità religiose o associazioni tematiche, per poi, appena possibile, allontanarsi da soli. Per farlo, avevano una magica e tacita intesa. Riccardo non aveva bisogno di invitarla, bastava che si alzasse e se la ritrovava subito accanto, come se stare insieme fosse la cosa più naturale del mondo, come se due calamite si riconoscessero e si abbandonassero contemporaneamente a una forza irresistibile.
Il problema era che Ada, più che parlare d’amore, parlava di lotta, lotta all’uomo di Ambrosia. Riccardo capì che, se voleva averla, non poteva evitare di condividere la sua ossessione e vi si gettò a capofitto, divenendo uno dei più agguerriti attivisti del movimento NO AMBROSIA. All’inizio si limitarono a partecipare a cortei (per la verità poco numerosi) e a confezionare striscioni. Successivamente entrarono in una cellula segreta, che aveva come obiettivo la difesa dell’umanesimo e non escludeva di ricorrere, per raggiungerlo, ad azioni violente.
Un gruppo di umanisti aveva scoperto un piccolo e raro parassita in grado di incunearsi nell’ambrosia e scavare gallerie in essa, finendo per distruggerla. L’obiettivo dato alla cellula di cui faceva parte Riccardo era quello di diffondere i parassiti, creando panico tra i non umani e dissuadendo quanti fossero ancora umani dal trasformare il proprio corpo.
Riccardo e Ada, mano nella mano, si misero in fila dinanzi a un centro medico che gratuitamente iniziava, con quanti lo richiedessero, il processo di trasformazione. Dinanzi al centro vi erano vistosi schermi con immagini felici di uomini e donne di ambrosia, che proponevano, smentendole, quelle che secondo loro erano le più comuni fake news.
Se vi trasformate, non potrete più fare l’amore – falso – l’immagine mostrava una coppia in atteggiamento inequivocabile.
Se vi trasformate, non proverete più i piaceri della tavola – falso – l’immagine mostrava persone che, virtualmente, provavano piaceri anche maggiori rispetto a quelli che il cibo può fornire (l’importante non è ciò che avviene, ma ciò che il cervello avverte).
Se vi trasformate non potrete più sentire il profumo dei fiori o avvertire il vento sul viso – falso – l’immagine mostrava persone fatte d’ambrosia che avvertivano direttamente e non virtualmente queste sensazioni (per questo aspetto, si diceva, non cambia nulla).
Riccardo strinse più forte la mano di Ada e percepì in lei il medesimo cocktail di adrenalina, paura e determinazione che sentiva in sé. Ma l’ingrediente più forte, tra quelle mani, era la corrente d’amore che le attraversava.
Quando passarono davanti al banco di controllo, collegato con gli altoparlanti, che propagava fino alla strada i messaggi del Centro, fu il momento di agire.
Riccardo estrasse la pistola, una beretta Tomcat, e puntandola contro il personale intimò a tutti di non muoversi.
Ada, svelta, si impadronì della postazione, inviando un messaggio ai presenti e contemporaneamente diffondendolo, in diretta, unitamente alle immagini, su tutta la rete. Riccardo, pur nella concitazione del momento, non poté fare a meno di accarezzare con lo sguardo l’agile figura di lei. Non aveva usato un’arma dai tempi del servizio militare, ma sentì che l’avrebbe adoperata senza difficoltà, se qualcuno avesse cercato di farle del male.
Ada mostrò la scatolina, che fino a quel momento aveva celato sul suo seno, contenente i parassiti. Le persone d’ambrosia presenti, capendo subito di cosa si trattava, rabbrividirono.
Disse che era costretta a liberarli, perché gli umani comprendessero a cosa andavano incontro se si fossero trasformati e finse di farlo.
A questo punto, il personale e gli umani già parzialmente trasformati, presi da una paura più grande di quella causata dalla pistola di Riccardo, fuggirono scompostamente in tutte le direzioni, mentre Ada sottolineava l’evento. Gli ascolti iniziarono a crescere, mostrando, man mano che la notizia si diffondeva, un’inarrestabile impennata.
Gli umani presenti si avvicinarono. Una donna abbracciò Ada, ringraziandola per averle impedito di fare una grossa sciocchezza.
Tutto stava andando secondo le migliori previsioni. All’improvviso, però, si sentì forte il suono delle sirene della polizia. Riccardo e Ada si guardarono stupiti. Dov’era Valentina, che avrebbe dovuto creare un diversivo? Secondo il piano, avrebbero dovuto avere ancora molti minuti per completare l’azione e allontanarsi.
Cercarono lo stesso di fuggire, ma la polizia bloccava ormai tutte le uscite. Riccardo buttò via la pistola e alzò le mani. Che altro poteva fare? Ada agitò la scatoletta, facendo il gesto di aprirla, ma i primi agenti che si avvicinarono erano umani (ve ne erano ancora in polizia) e non si fecero intimorire.
Non li trattarono con violenza. La cosa peggiore, per loro, fu che li separarono.
Dopo una notte insonne, Riccardo fu condotto in una stanza luminosa, nella quale vi erano un tavolo e due sedie, l’una di fronte all’altra.
Un funzionario del nuovo Ministero dell’Ambrosia, creato per agevolare e organizzare la trasformazione di quanti volessero valersene, entrò per interrogarlo.
Riccardo si aspettava un interrogatorio aggressivo, magari con una luce puntata sul viso e qualche energumeno pronto a schiaffeggiarlo se non avesse collaborato o rivelato i nomi dei complici. Invece gli si avvicinò una persona matura, vestita con gusto, che gli tese la mano, dicendogli che il suo nome era Franco e che il suo corpo e i suoi organi interni erano completamente d’ambrosia.
F: - So che immagini che, per questo, io non sia più come te, non sia più un uomo. Ti sbagli. Voi usate, per la propaganda, un vecchio film, “l’invasione degli ultracorpi”, nel quale gli uomini vengono sostituiti da cloni che emergono da baccelli giganti. Ebbene io non sono un baccello. Sono Franco. Lo ero prima e lo sono adesso. Ho un corpo nuovo, come dopo un trapianto, ma sono sempre io. Amavo mia moglie e continuo ad amarla. Mi piaceva viaggiare e mi piace viaggiare, amavo il teatro di Shakespeare, i romanzi di Asimov e le tagliatelle al ragù e continuo ad amarli, anche se, per le tagliatelle, il piacere è riprodotto artificialmente. Conservo intatti tutti i miei ricordi. Forse sono meno aggressivo e litigioso, non avendo più eccessi di sangue al cervello, ma solo impulsi regolari e tranquilli, ma sono sempre io: lo comprendi questo? -
Riccardo non rispose. Manteneva la testa bassa e i pugni chiusi, come se la bonomia della persona e la serenità ovattata dell’ambiente in cui si trovavano non l’avesse affatto convinto.
F.: - Per restare ai temi della vostra propaganda, qui non ci sono “stanze 101” [1]. Tu non sei Winston Smith e io non sono O’ Brien. Qui, se l’hai notato, non ci sono neppure sbarre alle finestre: c’è solo razionalità.
Credevi ti chiedessi i nomi dei complici, i contatti della tua cellula? Non ci interessano e poi ci ha già detto tutto Valentina, che si è ravveduta prima della vostra azione criminale.
R.: - Valentina? Traditrice! Ma dov’è Ada? Cosa le avete fatto?
F.: - Sta bene e presto la rivedrai. Ma veniamo al punto: Tu ci interessi. La maggior parte delle persone con un quoziente intellettivo superiore, come te, e così pure la quasi totalità degli scienziati – e tu sei uno scienziato - è con noi. Perché tu no? Vogliamo capire le tue motivazioni. C’è una falla nel sistema? Qualcosa che non abbiamo compreso? Siamo pronti a metterci in discussione. Vogliamo capire perché ci sei nemico, perché sei nemico del progresso. -
Riccardo accolse con molto scetticismo queste affermazioni. Pensò che fossero frutto di finzione e ipocrisia. Quale sistema, qual organizzazione dominante poteva mai essere pronta a riconsiderare tutto in virtù delle obiezioni di un solo uomo? Altro che considerarlo intelligente, stavano offendendo la sua intelligenza.
F.: - Dal primo organismo primordiale, quante specie si sono succedute, come in un’olimpiade, nel portare avanti la fiaccola dell’evoluzione? È arrivato il momento, per un uomo sfinito e disorientato, di rigenerarsi, se vuole continuare ad avere un ruolo. I nostri più lontani discendenti aggiungeranno, nella catena di disegni che mostra una scimmia che alza via via la testa, la figura elegante e perfetta dell’uomo di ambrosia. Ambrosia, nettare degli dei. Il nome già dice tutto. Stiamo salendo di un gradino, stiamo arrivando sul monte Olimpo.
R.: - Per favore, non adoperare slogan con me. Sono piuttosto resistente ai tentativi di lavaggio del cervello.
F.: - Bene, mi limiterò a farti vedere un filmato e a farti una domanda. -
Franco accese uno schermo e apparvero immagini di una corsia di ospedale. Le immagini correvano da un reparto all’altro, mostrando un infinito campionario di sofferenze umane.
Uomini donne, anziani, bambini, affetti da ogni sorta di mali, stroncati da ogni tipo di dolore, chiusi entro reticoli di aghi e cateteri, intubati e collegati a macchine per poter respirare. Dall’ospedale si passò a una casa di riposo, piena di volti deturpati dalla vecchiaia.
F.: - È per questo che ti batti? Per evitare che tutto ciò scompaia per sempre? È per questo che, invece di passeggiare romanticamente con il tuo amore, passi il tempo a minacciare le persone con la pistola?
Non vedo un solo motivo per difendere, addirittura con le armi, l’uomo fatto di carne. Qual è il motivo? Dimmene uno. Ti prego, dimmene almeno uno, affinché possa capire.
Si tratta di motivazioni religiose? Il Signore ha fatto così Adamo ed Eva e volerli cambiare è grande peccato di superbia?
Non credo che tu, essere razionale, possa pensare questo. Se ci sono state date possibilità di migliorarci, il peccato è non farne uso.
La carne ha sempre dato una condizione di estrema vulnerabilità all’uomo e dalla vulnerabilità è derivato il desiderio di protezione, il bisogno di avere qualcosa preservi dai mali, un’assicurazione che faccia dire: “A me non capiterà, se prego la divinità giusta”. Quando, come avviene con l’ambrosia, la vulnerabilità viene ridotta, anche i margini di attrattiva delle religioni si riducono. Resta solo il desiderio di vita oltre la morte, che esse offrono. L’uomo di ambrosia è un uomo più libero dalle superstizioni che sostengono le religioni. Non vuoi che questo avvenga? –
Riccardo continuò a tacere.
F.: - Non riesci a trovare un motivo che giustifichi lo schierarsi dalla parte dei conservatori, che da sempre hanno cercato di fermare cambiamenti e progresso? Sei da quella parte solo per paura, per un irrazionale senso di perdita della condizione cui sei assuefatto? Ma tu non sei uno che va a rimorchio della maggioranza o della TV, sei capace di pensare e allora ascolta: Noi non siamo i nostri occhi o le nostre mani. Siamo il nostro cervello, ma, volendo, potremmo rinunciare anche a quello. Soprattutto siamo la nostra autocoscienza. È questa la nostra realtà essenziale. Un sasso non è consapevole di sé. Noi sì e questa consapevolezza comprende i ricordi, abbraccia il presente e il passato, attribuisce a una minuscola parte dell’essere un’identità nella realtà universale. Tutto il resto è accessorio. Possiamo cambiarlo e rimanere noi stessi. Possiamo essere un’autocoscienza collegata e capace di inviare comandi a un corpo di ambrosia invece che di carne. –
Finalmente gli vennero in mente le parole per replicare.
R.: - Io sono un’unità indissolubile di corpo e mente. Quello che è la mia mente dipende dal mio corpo e viceversa. L’interscambio ha creato ciò che sono io. Ogni sensazione crea una traccia, lascia un segno che si somma ai precedenti; se cambia il trasmettitore di impulsi cambia anche ciò che li recepisce. Se sarò fatto di ambrosia, sarò diverso da quello che sono ora.-
F.: - Sei così sicuro che questa diversità debba spaventarci? Sei sicuro che la diversità non possa essere ciò che ci traghetterà verso un mondo migliore?
Riccardo lo detestò, come detestava tutti coloro che si ritengono detentori della verità e mostrano un’incrollabile sicurezza. Se avesse avuto ancora con sé i parassiti, glieli avrebbe gettati contro, per vedere disfarsi il suo corpo, fatto di stupida ambrosia! Pensò che non voleva nutrirsi di energia, gustando sensazioni virtuali in luogo delle sensazioni reali che il cibo dà. Pensò che voleva sentire il sangue scorrere nelle vene e voleva umanamente incollerirsi come avevano fatto i suoi antenati, quando le circostanze lo richiedessero, pensò che voleva continuare a essere ciò che era sempre stato, ma non seppe dire a sé stesso perché lo voleva.
Franco aveva espresso, sia pur civilmente, le stesse idee di coloro che, con espressioni volgari, identificavano gli umani come coloro che ancora, come gli animali, producono escrementi. Per questo lo odiava, come odiava tutti loro. Tuttavia, nella sua mente, si formò l’immagine di sé come sarebbe stato tra 10 o 15 anni, con i guasti fisici che ciò comporta, contrapposta a quella di un uomo fatto di ambrosia, provocandogli un piccolo brivido di incertezza, che scacciò come una mosca fastidiosa. Ebbene, disse a sé stesso. Se questa è la condizione umana, voglio viverla fino in fondo.
Anche se non riusciva a trovarla, c’era una crepa nei ragionamenti di Franco. Sentiva nel suo cuore che c’era. Doveva esserci per forza.
Il giorno dopo, li rilasciarono entrambi. In attesa del processo, avevano un braccialetto elettronico e non potevano allontanarsi dall’abitazione di Riccardo, nella quale avevano ottenuto di poter stare insieme. Che giustizia generosa! Credevano che solo per questo avrebbe smesso di odiarli?
Si scambiarono infinite rassicurazioni e carezze. A nessuno dei due era stato fatto del male. Si erano limitati a mettere nella loro testa un tarlo, restando ad aspettare che compisse la sua opera. Ma ciò non sarebbe avvenuto. Presero a progettare la fuga, comunicando solo con foglietti di carta che distruggevano subito dopo. Era molto probabile che li spiassero e ascoltassero le loro conversazioni. Fuggire, far perdere le tracce, raggiungere una base segreta della resistenza, ricominciare la lotta. Questo corso di pensieri non fu interrotto neppure quando Ada ebbe, prima il sospetto e poi la certezza, di essere incinta. Iniziarono a fantasticare sul futuro del bambino, sentendo che quel piccolo essere li univa ancora di più e pensando che avrebbero continuato ad amarsi anche quando i loro corpi, fatti di carne, sarebbero appassiti e avessero accumulato le deformazioni e le piaghe che la vecchiaia comporta. Se lo dicevano l’un l’altro, come per rassicurarsi, anche se il pensiero li turbava.
Una notte, però, si svegliarono per la pioggia che, battendo sui vetri della finestra, sembrava conoscerli e chiamarli. Ada si strinse forte a lui e, come se in quel momento fosse arrivata alla conclusione di un percorso fatto di mille contraddizioni, disse solo: “Hanno ragione loro”.
Riccardo non ribatté, né contestò, come se i loro pensieri consci e inconsci misteriosamente si fossero mossi all’unisono, aiutati dalla pioggia e aggiunse: “E nostro figlio”?
Noi siamo il passato - rispose Ada - siamo nati e moriremo umani, ma lui sarà fatto di ambrosia, lui sarà il futuro -.
[1] Nel famoso “1984” di George Orwell, la stanza uno-zero-uno è una sala di tortura, nella quale il prigioniero viene posto di fronte alle sue peggiori fobie.

Venerdì 7 febbraio 2025, alle 16:30 presso la Sala del Gonfalone, Palazzo di Città, a Salerno, Anna Maria Aurucci e Bruno de Filippis presenteranno il loro nuovo libro "Le Voci della Luna", Giuseppe de Nicola editore. Siete tutti invitati a partecipare all'evento.

Audizione del dott. Bruno de Filippis alla Camera dei Deputati, commissione Giustizia, 20 aprile 2023, sul tema: Maternità surrogata (gestazione per altri).
La raccolta di racconti di Bruno de Filippis:
"Assia e altri racconti"
vince tra gli inediti e, come premio, sarà pubblicata.
Informeremo i lettori della pubblicazione, per chi volesse leggerla.
https://www.premioletterariomilanointernational.it/i-vincitori-dell-edizione-2022.html
Nella foto, Bruno de Filippis premiato a Milano per "Assia e altri racconti", in corso di pubblicazione.



Video didattico ed informativo. Risponde con chiarezza a domande sulla normativa vigente in materia di separazione e divorzio
Il settore prevalente della mia specializzazione è il Diritto della persona e della famiglia, una branca che influenza profondamente la vita di tutti i giorni ed è al centro di ogni dibattito e proposta di cambiamento, rivolti verso il futuro.
Dallo studio di tale branca è derivato il mio interesse per le nuove proposte di legge e per una generale Riforma della materia, coronato da risultati a volte incoraggianti.
Ciò che è prematuro realizzare, l’ho trasfuso in alcuni romanzi fantasociali, che uniscono al fascino dell’avventura proiezioni di come la nostra società potrebbe cambiare in un futuro non troppo lontano, di come potrebbero trasformarsi leggi e costumi, seguendo l’inarrestabile svolgersi del fiume della realtà.
Il sito propone in particolare questi romanzi, unitamente a libri giuridici e altri testi o racconti, frutto della mia lunga attività, che vengono portati all’attenzione di quanti, magari per averne letto qualcuno, siano così cortesi da voler conoscere gli altri.
Bruno de Filippis, magistrato dal 1978, autore di numerosissime opere giuridiche, pubblicate dalle maggiori case editrici nazionali, direttore e curatore di collane, più volte ascoltato come esperto di diritto di famiglia dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, ha collaborato alla stesura di leggi, tra cui la 54/2006, in tema di affidamento condiviso dei figli nella separazione e nel divorzio. Ha presieduto o ha partecipato come relatore ad innumerevoli convegni in svariate località italiane. Ha diretto l’attività di commissioni di studio per la riforma del diritto di famiglia. Ha elaborato progetti di riforma per il riconoscimento dei diritti delle coppie non matrimoniali e delle coppie composte da persone dello stesso sesso, dei minorenni adottati nelle forme dell’adozione in casi particolari, dei nati da madri che non intendono essere nominate e delle persone che ricorrono alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.
